CIA Due Mari al Prefetto di Taranto: "I fiorai possono restare aperti, no alla discrezionalità dei sindaci"

10/04/2020

In una lettera indirizzata al Prefetto di Taranto Demetrio Martino, CIA Area Due Mari (Taranto-Brindisi) esprime tutta la propria preoccupazione riguardo, in particolare, a diverse segnalazioni dei floricoltori. Il problema è quello inerente a una non sempre coerente applicazione delle doverose restrizioni imposte dall’emergenza Covid-19.

«Si tratta, in particolare, della condizione esimente prevista sia dal DPCM dell'11 marzo 2020 che da quello più recente dello scorso 22 marzo, con cui vengono garantite le attività del settore agricolo, zootecnico e del florovivaismo con le relative produzioni, con lo scopo precipuo di assicurare le provvidenze alimentari all'intera collettività e con essa, naturalmente al produttore agricolo e alla sua famiglia, indipendentemente dal fatto che quanto ottenuto dallo svolgimento dell'attività agricola sia destinato in tutto in parte al fabbisogno proprio» - hanno spiegato nella missiva Vito Rubino e Pietro De Padova, rispettivamente direttore e presidente provinciali di CIA Area Due Mari.

«Su questi presupposti muove la ratio Governativa che infatti ha guardato alle attività meritevoli di attenzione sottraendosi alla inutile morsa dei profili soggettivi. In virtù di queste ragioni appare incomprensibile il trattamento riservato ai punti vendita di fiori e piante (peraltro la vendita di tali prodotti è già consentita nei supermercati); per quei punti vendita vige la discrezionalità dei Sindaci o delle forze di Polizia che presidiano il territorio e che provvedono a verificare l’applicazione dei vari DPCM» - hanno aggiunto Rubino e De Padova.

Al Prefetto, dunque, CIA Due Mari ha chiesto di adoperarsi affinché vengano diramate precise indicazioni ai Sindaci della Provincia di Taranto e alle forze di Polizia «per consentire l’apertura dei punti vendita di fiori e piante, al pari dei supermercati o dei negozi che vendono beni di primaria necessità. Tale esigenza deriva dal fatto di limitare i danni per questo settore che vede compromessa la possibilità di vendere il proprio prodotto legato al comparto agricolo, a seguito della sospensione di cerimonie, eventi pubblici, funzioni religiose e quant’altro con il reale rischio di destinare tutto al macero», hanno concluso Vito Rubino e Pietro De Padova.