La XVII legislatura non nasce certo sotto i migliori auspici. Il risultato politico uscito dalle urne è incerto, si fatica a formare un Governo, ancora più fatica fa il Parlamento nell’eleggere un nuovo Presidente della Repubblica. E così, per l’esecutivo si escogita il governo Letta (eravamo in vena di “grandi coalizioni”) e come Presidente si rinnova il mandato a Napolitano. La legislatura si trascina balbettante e debolissima fino al termine del 2013. Il 13 gennaio 2014 la sentenza della Corte Costituzionale che dichiara l’incostituzionalità del c.d. “Porcellum”, in forza del quale la XVII legislatura era stata costituita, sembra definitivamente segnare la fine della legislatura. Ed invece il vecchio Presidente tira fuori l’ultimo coniglio dal suo cilindro di prestigiatore e, il 22 febbraio2014, Matteo Renzi assume l’incarico di Presidente del Consiglio. Il nuovo esecutivo porta in dono un programma di “riforme”, tutte peggiorative dello stato esistente delle cose, vedi la riforma della Pubblica Amministrazione, quella del lavoro, l’assurda riforma della scuola. Nell’insieme di questi aborti legislativi trovano spazio anche le “riforme” costituzionali che, per bocca dello stesso premier, sono chiaramente frutto dell’ispirazione politica presidenziale. In realtà non si tratta di “ispirazione”, ma di un “azzardo” presidenziale e di una inopportuna ingerenza del Presidente della Repubblica nell’indirizzo politico del Paese, cosa che va molto otre i poteri che la Costituzione attribuisce al Presidente. Perché a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 1/2014 le Camere non sono state opportunamente sciolte? La Corte in quella sentenza aveva stabilito che le Camere non dovessero essere immediatamente sciolte grazie al «principio della continuità degli organi dello Stato» dovendo quanto meno riunirsi per approvare la nuova legge elettorale di cui la stessa Corte aveva indicato alle Camere i principi cui ispirarsi (il c.d. Consultellum). Precisando attraverso il richiamo a due articoli della Costituzione, l’art.77 comma 2 el’art.61, che la prorogati o sussiste solo fino a che sussiste uno stato di emergenza, per cui il principio di continuità istituzionale non è privo di limiti temporali. Le Camere avrebbero dovuto procedere ad approvare una nuova legge elettorale con urgenza e poi essere sciolte, ma da qui a intraprendere una riforma costituzionale, in contraddizione con la sentenza della Corte costituzionale, il passo era ed è stato lunghissimo. E’ quindi evidente l’azzardo istituzionale sia dell’ex-Presidente Napolitano sia del Premier Renzi nel dare inizio, l’8 aprile 2014, ad una “riforma” costituzionale con un Parlamento delegittimato giuridicamente e politicamente, con parlamentari “nominati” grazie al “Porcellum”, insicuri di essere rieletti e perciò esposti alla mercé del migliore offerente. Il che è dimostrato dal record, nella XVII legislatura, di “passaggi” da un gruppo parlamentare all’altro, con 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti. Da quel momento in poi “il sonno della ragione” si è impadronito delle massime cariche di garanzia della Repubblica italiana.Il Parlamento approva, ma è il Governo che propone questa “riforma”. Alcuni sostengono che respingere questa “deforma” costituzionale significherebbe offendere il lavoro del Parlamento. In realtà il Parlamentosi è comportato, nella sua maggioranza politica a sostegno del Governo, come un mero esecutore del misfatto costituzionale. La “deforma “ porta il nome del Presidente del Consiglio (neppure eletto fra i parlamentari della legislatura)e di un ministro del Governo ed è frutto di iniziativa governativa, e non di iniziativa parlamentare come invece prevede quella Costituzione che stanno tentando di stravolgere. La tesi del Presidente del Consiglio, secondo la quale il Governo disporrebbe dell’iniziativa legislativa anche per le leggi di revisione costituzionale, non viola un esplicito divieto costituzionale, ma certamente determina l’abbassamento della Costituzione allo stesso livello delle leggi ordinarie e della politica quotidiana. Infatti proprio perché la Costituzione è superiore a tutti gli atti giuridici che compongono l’ordinamento italiano, anche la procedura per la sua revisione si pone ad un livello ben più elevato e doverosamente più partecipato delle leggi e dei provvedimenti d’indirizzo politico di maggioranza. Il che risponde anche ad un altro fondamentale motivo. Come per l’approvazione della stessa Costituzione, anche per l’approvazione delle leggi di revisione si dovrebbe cercare di ottenere il massimo consenso possibile da parte dei parlamentari, perché la Costituzione dovrebbe rappresentare e, nel contempo, garantire tutti, essendo la “casa comune”. Solo un progetto di revisione che incontri un vasto consenso ha infatti la possibilità di durare nel tempo. Di qui, la conseguenza che anche le opposizioni dovrebbero poter contribuire effettivamente nel procedimento di revisione. Questa “riforma” non può durare nel tempo perché è scritta solo dal governo attuale, non è frutto di un’intesa, anzi alimenta la discordia nazionale. E’ prevalsa l’illusione che “spianare gli avversari” potesse rafforzare la leadership del Governo e della sua maggioranza parlamentare. Per cui si ripete l’errore: si riscrive la Carta per legittimare un governo privo di un programma presentato agli elettori e per prolungare il Parlamento addirittura come Assemblea Costituente, pur essendo costituito con legge elettorale illegittima. Valgono tutt’oggi le parole pronunciate da Piero Calamandrei con riferimento all’approvazione della Costituzione: «Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana». Il che risponde a un principio fondamentale: quello della superiorità della Costit