Laterza | Giovanni Matera: " Boomer contro Millennials". JUST TV

11/05/2023

Nell’ultimo periodo sentiamo sempre più le parole Boomer o Millennials in associazione a una persona nata in un determinato periodo storico. Quante volte vi è stato detto o avete sentire dire “Questo comportamento è da Boomer”, “Sembri un boomer”. Ebbene “l’essere un boomer” è quasi diventata una vera e propria categoria da studiare. Il termine “boomer” è utilizzato dalle generazioni dei nati durante il periodo del Boom economico tra il 1946 e il 1964, Per indicare una generazione portatrice di modi di pensare e agire da conservatori, superati e perfino nocivi e con comportamenti rispetto alla tecnologia non al passo con i tempi “analogico”. Mentre vengono indicati come Millennials o generazione Y i nati tra il 1981 e il 1996. Ma qualora foste nati 1997 e il 2012? In quel caso si parla di generazione Z.

Queste sono generazioni quotidianamente a confronto, Padri e figli, a volte in contrasto e tra le quali molto spesso sembra che ci sia un mare, relativo a esperienze e vissuti a dividerli. Parliamo di un conflitto latente tra millennials e boomers con una buona dose di bugie le chiamiamo “storie”. Vediamone alcune:

La promessa. La grande narrativa con cui sono cresciuti i millennials, era: studiare più dei propri genitori, imparare almeno due lingue straniere, riempire il curriculum di esperienze pronte all’uso per i futuri datori di lavoro. Purtroppo, per una parte importante di questa generazione la promessa non ha funzionato. Quanti figli, fratelli e cugini abbiamo mandato a Londra a studiare e non sono più tornati? E quanti hanno trovato lavoro, dovendo accettare una frazione dello stipendio dei loro colleghi più anziani? I millennials studiano più delle generazioni precedenti e in molti casi si indebitano per farlo. Quando entrano nel mondo del lavoro devono accettare stipendi più bassi e a tempo determinato.

In Italia vivono ancora a casa dei genitori il 72 per cento degli uomini tra i diciotto e i trentaquattro anni e il 59 per cento delle donne. Non si mette su famiglia in casa di mamma e papà. A questo stato di cose la classe dirigente italiana risponde con una collettiva alzata di spalle. Un’ammissione di impotenza rispetto alla realtà.

La libera scelta. Per un po’ ci abbiamo creduto, ci siamo forse illusi che la comunicazione sarebbe cambiata, “da uno-a-tutti” a “uno-uno”: democrazia di internet. Non è andata così. Alla lunga, invece, ci siamo abituati a contenuti scelti, filtrati, ragionati da processi decisionali rigorosi che coinvolgono decine di professionisti e parole scritte da una singola persona, ritornando di nuovo allo schema: “uno-a-molti”.

I colpevoli sembrano essere gli algoritmi, che vengono descritti come figure mitologiche, perfide e coscienti, quando in realtà sono dei semplici ordinatori.

Abbiamo scelto, più o meno consapevoli, e scegliendo abbiamo plasmato un po’ alla volta quel che vogliamo vedere e sentire.

 Il mattone. Sembra un dialogo tra sordi: lo stato che vuole incentivare l’acquisto dice al nostro giovane “suvvia, investi con entusiasmo sul mattone”, ma il nostro giovane guadagna troppo poco per pensarci e spesso non riesce nemmeno ad andarsene dalla casa di mammà. Più della metà degli under 35 guadagna meno di mille euro al mese e il più delle volte a tempo determinato. I giovani di oggi sono più poveri di quanto non fossero i loro genitori alla loro stessa età, mentre gli anziani di oggi sono più ricchi degli anziani di ieri. Non è una sorpresa, allora: i redditi sono troppo bassi o instabili anche solo per iniziare a pensarci di mettere su casa.

Che Paese diventa quello in cui non basta un lavoro per comprare casa? Cosa succede a un Paese dove il reddito da lavoro non è il motore fondamentale dell’economia?

 La scrivania. Abbiamo adottato l’anagrafe al posto del merito, ed è decisamente l’ora di cambiare. Il problema è globale. Due persone che fanno lo stesso lavoro, alla stessa scrivania, in cui il giovane ha una laurea e un master mentre il più anziano ha solo un diploma, hanno due stipendi profondamente diversi. I numeri non lasciano grande spazio ai ragionamenti: i millennials sono pagati decisamente meno.

La pensione. Licenziare un lavoratore assunto a tempo indeterminato è molto complicato e costoso, dunque milioni di imprese riparano in scorciatoie legali che il sistema offre loro perché è consapevole della difficoltà. I contratti di una volta per chi può e per chi è arrivato a fine carriera, e piccoli contratti e termine per tutti gli altri.

Inoltre il sistema pensionistico, che fino a quel momento consentiva di andare in pensione con una somma pari all’ultimo stipendio (sistema retributivo) ora invece somma i contributi versati effettivi durante la carriera lavorativa (sistema retributivo). Intanto viene soppressa la “scala mobile”, norma che collegava in modo automatico gli aumenti di stipendio al costo dei beni sul mercato, ossia l’inflazione.

Oltre al muro di Berlino, a danno dei millennials, viene giù tutto un sistema di garanzie che lo Stato si era impegnato a dare e che ora non può più sostenere.

La più grande coerenza di questi trent’anni è nella tutela, di chi è già arrivato. Paga il prossimo.

 La democrazia diretta. La battaglia generazionale non entra mai in agenda, nell’elenco delle cose da affrontare ora e non tra qualche tempo. Invece dovremmo provare a chiederci: com’è possibile che un’intera generazione di italiani sia sottopagata al lavoro, costretta a fare i conti con l’emergenza climatica, spesso senza una casa, con grande probabilità di ricevere una pensione incompatibile con quella di chi l’ha preceduta? Com’è che al ministero dell’economia conoscono bene il dilemma che l’Italia affronterà per pagare le pensioni tra il 2030 e il 2045 e che non abbia la forza e la volontà di fare granché? E com’è possibile che di questo problema non ci sia traccia nei programmi elettorali, nelle stories Instagram degli influencer più in voga, e persino nei cari vecchi titoli di prima pagina?

 La risposta potrebbe essere che: le generazioni più giovani sono minori per numero e dunque meno interessanti per chi deve farsi eleggere.

 Il cambiamento è possibile. Il nemico numero uno di questa generazione, e dunque di questo Paese, non sono soltanto i soldi che mancano, la coperta corta, le risorse calanti e il confronto costante con il passato. Il nemico è l’inerzia. Dobbiamo affrontare nuovi problemi con nuove idee.

Chi non pianifica il proprio futuro, non avrà un futuro. Cambiare si può, anzi si deve.

 Giovanni Matera

Per consultare altri miei articoli:

www.giovannimatera.it