Un'opera di Domenico Dell'Osso in viaggio verso l’Oriente. L’arte italiana per l’International Mongol Rally

11/08/2016

“3 Uomini & Una Panda” è il nome del gruppetto di giovani girovaghi lucani che prenderanno la rotta della Mongolia in vista della gara non competitiva del Mongol Rally. Il Mongol Rally è un format che incita avventurieri di tutto il mondo a mettersi in cammino con un mezzo a bassa cilindrata avendo per meta la capitale della Mongolia, Ulan Bator. La cerimonia di partenza si terrà a Londra, ma il team “3 Uomini & Una Panda” partirà dalla Lucania, più precisamente da Potenza il 11 Agosto facendo tappa a Matera per poi ripartire in direzione Est verso la capitale della Mongolia Ulan Bator, dove è previsto l’arrivo il 26 Agosto. Obiettivo finale: riunirsi tutti in Russia il 31 Agosto per la vendita all’asta di tutto ciò che ha accompagnato i viandanti nel loro lungo percorso: in primis la macchia – una Panda nel caso specifico dei ragazzi lucani – e tutto ciò che essa ha contenuto, come tende, borracce, oggetti svariati utili alla scoperta dell’Oriente. I “3 Uomini” devolveranno il ricavato dell’asta a diverse associazioni no-profit, tra cui una internazionale di tutela dell’ambiente e due di beneficenza lucane.Tra gli oggetti che i “3 Uomini & Una Panda” porteranno con loro vi è uno in particolare che poco si conforma al canonico kit di sopravvivenza. Una statuetta realizzata dall’artista Domenico Dell’Osso accompagnerà il viaggio dei ragazzi ad ulteriore testimonianza dell’impresa compiuta e con l’intento di contribuire al valore di questa al momento della vendita all’asta per beneficenza. L’arte e il viaggio: due motori che spingono l’uomo alla scoperta, alla decisione di valicare in ogni confine i propri limiti. Sono ingredienti di uno stesso spirito, combinazioni che intrecciandosi sostengono ambizioni più alte, portando a scoperte inattese.“Nessuno conosce in vero le ragioni per cui si decide di intraprendere un viaggio. Eppure lo si fa, carichi di mille aspettative e bagagli di sogni, o pieni di niente, aspettando senza troppa fretta di essere colmati nei vuoti e possedere finalmente qualcosa da perdere”, così come ci ricorda il critico d’arte Stefania Dubla.
All’avventura del Mongol Rally immediatamente riaffiorano nella mente le immagini delle città vissute ad occhi semiaperti, nella staticità della posa rilassata nel giardino dell’imperatore, da Kublai Kan e Marco Polo nelle “Città invisibili”. Stando al racconto di Italo Calvino, Polo all’inizio non parlava la lingua del Kan e per saziare il desiderio di conoscenza dell’imperatore era costretto ad esprimersi con gesti, salti, grida di meraviglia o di orrore e, soprattutto, con oggetti. La meraviglia della comunicazione sovrastava la curiosità della conoscenza delle proprie terre e l’imperatore incessantemente chiedeva a Polo di raccontargli storie. Spesso, però, il nesso tra gesti, urla, oggetti e i luoghi visitati non gli era chiaro. “Palese o oscuro che fosse, tutto quel che Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una volta visti non si possono dimenticare né confondere” [Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori Editore, Milano, 2010, p. 22]. L’oggetto come forma archetipa, dunque, che costruisce un dialogo lì dove la comunicazione linguistica codificata viene a mancare. La piccola scultura di un uomo nelle braccia di se stesso è anch’essa emblema di un microcosmo che, se pur geograficamente lontano, è capace di chiudere le distanze nel momento in cui questa si palesa agli occhi e all’immaginario di chi quel mondo tramite il dato oggetto ora può con lei viverlo. “Col succedersi delle stagioni e delle ambascerie, Marco s’impratichì della lingua tartara […]. Eppure ogni notizia su di un luogo richiamava alla mente dell’imperatore quel primo gesto o oggetto con cui il luogo era stato designato da Marco. Il nuovo dato riceveva un senso da quell’emblema e insieme aggiungeva all’emblema un nuovo senso. Forse l’impero, pensò Kublai, non è altro che uno zodiaco di fantasmi della mente. – Il giorno in cui conoscerò tutti gli emblemi, – chiese a Marco, – riuscirò a possedere il mio impero, finalmente? -. E il veneziano: – Sire, non lo credere: quel giorno sarai tu stesso emblema tra gli emblemi” [Id., p. 22]. Vincitore di innumerevoli premi di pittura, ultimo fra questi “Genius Loci”al Premio Pio Alferano a cura di Vittorio Sgarbi, Dell’Osso ha riscosso il plauso di critici della levatura di Philippe Daverio,  Luca Beatrice, Ivan Quaroni, Gianluca Marziani e molti altri. Nel 2011, sull’autorevole rivista “Inside Art”, Dell’Osso viene riconosciuto dal curatore milanese Igor Zanti come “il capostipite dei pop surrealisti italiani”. Le sue opere oggi sono in numerose collezioni private. Tra queste le collezioni  Mondadori, Terna, Luciano Benetton, Ceres, Costa Crociere per la quale Dell’Osso ha curato l’ interior design della nave Costa Deliziosa. Anche ABI (Associazione Bancaria Italiana) investe su di lui acquistando suoi dipinti. Ha esposto in Musei e luoghi di prestigio come l’Arsenale di Venezia, Il Museo Mambo di Bologna, Il Madre di Napoli, il Centro pecci di Prato, il Palazzo Della Permanente Milano, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Torino, ecc Uno dei suoi ultimi dipinti è stato realizzato per la copertina dell’ultimo disco di Caparezza (Museica). Oggi, le statuette da lui realizzate sono dipinte a mano da due ragazzi del liceo artistico “Carlo Levi” di Matera. L’idea che a dipingerle fossero Michele Melodia, anni 18, e Michela Rondinone, 17, risponde ad un doppio binario di desideri. Da una parte, la fiducia di un grande artista riposta in chi determinerà un giorno il futuro dell’arte, dall’altra, la coscienza assorbita dai giovani liceali del ruolo dell’arte come archetipo, capace di viaggiare nel tempo e nello spazio veicolando un linguaggio che resta universale e a tutti gli uomini comune.