Solo qualche giorno fa ci eravamo imbattute in un articolo di Michela Murgia dal titolo “Morte o mortificazione: che cos'è un femminicidio”: la scrittrice, pur consapevole dei grandi passi avanti compiuti negli ultimi dieci anni, ritiene che lo Stato, perseguendo l’omicida o lo stalker, si occupi della donna solo quando è già diventata vittima. Per cambiare lo stato delle cose – che ad oggi vede
una donna vittima di violenza ogni 15 minuti – è importante – continua la Murgia – iniziare a occuparsi non solo della violenza, ma anche delle discriminazioni: la morte fisica è infatti possibile solo dove è già stata consentita la mortificazione civile, cioè tutte le negazioni di dignità fisica, psichica e morale rivolte alle singole donne in quanto tali e alle donne tutte nella loro appartenenza di
genere.
È in questo substrato sociale, culturale e politico che sono nati e cresciuti atti di violenza efferati sfociati in femminicidi in un piccolo paese del foggiano, Orta Nova, nella totale indifferenza della comunità e delle istituzioni: l’ultimo quello di Tiziana Gentile, una donna di 48 anni, bracciante agricola, accoltellata alla gola all’interno della sua abitazione. Per il delitto è stato fermato Gerardo Tarantino, bracciante agricolo di 46 anni. Una spirale di violenza che coinvolge il paese di Orta Nova da anni: il 12 ottobre 2019 Ciro Curcelli, assistente capo della polizia penitenziaria di 53 anni, uccise con la sua pistola di ordinanza la moglie Teresa Santolupo, 54 anni, e le due figlie di 12 e 18 anni; pochi giorni dopo, il 29 ottobre, fu assassinata Filomena Bruno, 53 anni, dall’ex genero Cristoforo Aghilar, 37enne. Tiziana, Teresa, Filomena: tre vittime dello stesso sistema maschilista e patriarcale, in cui sono gli uomini a detenere il potere nella società e usano la violenza come espressione di questo potere.
I datici raccontano che quel “Ti ammazzo” è il gesto finale di eliminazione della propria compagna, moglie, ex, che arriva dopo un lungo periodo di violenze, soprusi, isolamento. E se è evidente che se la violenza maschile è un mezzo per mantenere il dominio sulle donne e se da questo gli uomini traggono vantaggio come classe, sradicarla sarà un processo lungo e dagli esiti incerti. L’assunto che il femminicidio è un fenomeno culturale comporta una presa di responsabilità da parte di tutti e non imputabile solo a un “mostro”: la violenza di genere interessa ogni singolo componente della
comunità, dalle FF.OO. agli operatori sanitari, dagli operatori sociali alle Istituzioni, fino ai singoli/e cittadini/e. E ogni singolo componente deve sentire il peso della responsabilità per quello che poteva essere fatto e non è stato fatto per salvare la vita a Tiziana, Teresa, Filomena e a tutte le altre donne morte per mano di chi diceva di amarle.
Centro AntiViolenza - Rompiamo il silenzio
Associazione SUD EST DONNE