In quali incantesimi vivi?
Si racconta di un mendicante, talmente saggio e colto, da suscitare addirittura la curiosità del re che lo fece chiamare al suo palazzo e lo ascoltò. Incantato dal suo carisma, lo nominò, seduta stante, primo ministro.
Il mendicante si trasferì a palazzo, dove fu rivestito di abiti nuovi e sontuosi. Un grande appartamento del palazzo divenne sua dimora. Il suo ufficio era occupato da un grande focolare, un tavolo e un angolino nel quale ascoltava la gente. Non sapendo né leggere né scrivere, occupava il suo tempo ad ascoltare e parlare. Il metodo funzionò così bene che in pochissimo tempo trasformò il paese al punto da portarlo alla fama mondiale. C’era però un segreto che non piaceva a nessuno. Ogni giorno, per mezz’ora, il primo ministro entrava in una stanza accessibile solo a lui.
Con il passare del tempo, la curiosità divenne così grande che perfino il re in persona volle saperne di più. Il primo ministro si oppose al re e arrivò a dire: “O lei si fida o rimetto l’incarico” . Questo gesto fece aumentare sia il desiderio di sapere sia anche parecchi dubbi.
Il primo ministro diede le dimissioni e poi aprì la porta al re. Dentro c’erano, in un angolo, i suoi vecchi abiti da mendicante. “Vede maestà, volevo solo ricordarmi ogni giorno chi ero e chi sarei diventato”.
Ciò che crediamo (non solo riguardo a noi stessi ma anche al mondo) ha un enorme impatto su tutta la nostra esistenza: le credenze condizionano la percezione di noi stessi e della realtà che ci circonda, ci portano ad attribuire un determinato significato agli eventi, influenzano il nostro comportamento e, di conseguenza, anche i risultati.
I maghi delle favole, quelli tipo Merlino, per fare le loro magie usavano gli incantesimi; ossia parole (in formule magiche) ripetute con incisività più e più volte, che riuscivano a trasformare un uomo in un ranocchio, in un asino o in un topo ecc. Ed è incredibile, come noi facciamo esattamente lo stesso: ci ripetiamo così tante volte le cose che, a poco a poco, quelle parole diventano la nostra realtà, creando le nostre “storie” e le nostre convinzioni.
Come quelli delle favole, anche gli incantesimi verbali possono essere “malefici” o “benefici” e, purtroppo, i primi sono i più diffusi. Ecco alcuni esempi di incantesimi malefici:
“Non ci posso fare niente!”
“Non ce la farò mai!”
“Io sono fatto così!”
“Non cambio mai!”
“Con me non funziona!”
Alcuni individui sono veri e propri maestri nel limitare le loro potenzialità con questo tipo di incantesimi negativi. Continuano a ripetersi frasi depotenzianti che poco per volta diventano per loro assolutamente vere.
A un altro genere di incantesimi negativi appartengono le seguenti affermazioni: “Tutti gli uomini sono uguali”, oppure “Nessuno mi amerà mai come merito!”. Infine ci sono gli incantesimi malefici di tipo interrogativo: “Ma perché, perché proprio a me? Che cosa ho fatto di male, per meritarmi questo?”.
Innanzitutto, quando ci facciamo delle domande, il nostro cervello cerca immediatamente delle risposte e perciò alla domanda “Perché proprio a me?”, risponde a velocità della luce, senza esitazioni: “Perché sei sfigato!”. E, come se non bastasse, la domanda “Che cosa ho fatto di male, per meritarmi questo?” presuppone che l’inconveniente è successo perché abbiamo fatto qualcosa di male e che per questo ci meritiamo una punizione divina! Insomma, il risultato di quelle domande è di sentirsi immediatamente “cornuto e mazziato!”.
Continuare a ripetersi quelle domande, non farà altro che focalizzarci ulteriormente sul problema, facendoci sentire assolutamente impotenti; quindi, stiamo attenti a come parliamo e ai messaggi che inviamo al nostro cervello.
Le nostre credenze sono il fulcro della nostra zona di comfort, la base dei nostri schemi di pensiero e, per questo motivo, abbandonarle ci crea insicurezza, ci dà la sensazione di essere psicologicamente senza controllo. Al contrario, avere la sensazione di sapere come stanno le cose, confermare le proprie convinzioni, alimenta la percezione di apparente benessere, anche se raramente ha effetti positivi per la crescita personale. Ma è proprio perché le credenze soddisfano alla grande il nostro bisogno di sicurezza che difficilmente siamo disposti a metterle in dubbio; anzi, ne cerchiamo continuamente conferme! Insomma, per quanto brutta e puzzolente possa essere la zona di confort, ci fa sentire comodi e al calduccio.
“Che tu creda di farcela o di non farcela, avrai comunque ragione”.
(Henry Ford)
Quando una persona decide di cambiare un comportamento, un’abitudine o un lato del suo carattere, spesso il nemico più grande è rappresentato dalle sue stesse credenze che la legano alla vecchia identità, impendendole di vedersi in modo diverso rispetto a com’è sempre stata. È come se ci fosse una parte di sé che già sa e che si aspetta che le cose non cambieranno; e ovviamente la profezia si autorealizzerà facilmente perché, anche se per un po’ di tempo questa persona riuscirà a mantenersi coerente con i suoi nuovi propositi, al primo “sgarro”, appena si troverà a rientrare nel vecchio comportamento, immediatamente dirà a se stessa “Vedi? Ci sei riuscito per un po’, ma alla fine sei sempre il solito!”. Ed ecco che immediatamente tutto il lavoro, fatto fino a quel punto, verrà immediatamente vanificato.
Un cambiamento è reale e definitivo solo quando cambia la nostra identità.
Se non avessi aggiunto alla mia identità, al Giovanni di prima, il Giovanni appassionato di formazione aziendale che non esisteva, fino a farlo parte integrante di me, il libro “La cassetta degli attrezzi” non l’avrei mai potuto scrivere, come gli articoli che scrivo nelle varie testate e riviste locali; e men che meno avrei immaginato di poter organizzare e dirigere dei corsi formativi per aspiranti imprenditori.
Non è stato semplice, ma ne è valsa la pena; non soltanto per la crescita della mia carriera, dovuta anche alla pubblicazione del mio libro grazie al quale ricevo quotidianamente soddisfazioni dai lettori i quali m’informano con gratitudine, di persona o attraverso e-mail, dei benefici che hanno tratto dalla lettura dello stesso, ma soprattutto per il tipo di persona che sono diventato.
Perciò, se ho potuto farlo io, potresti farlo anche tu. Non permettere a te stesso di essere il tuo limite.
Giovanni Matera
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