In questi giorni si dibatte sulla causa delle morti degli anziani causate dal Covid 19, nelle strutture residenziali.
Le forze dell’ordine hanno chiuso centinaia di strutture non a norma. Il rischio che non si deve correre è, che passata la contingenza della pandemia tutto torni come prima. Si deve mettere all’attenzione la condizione di vita delle persone anziane che vivono nelle
cosiddette case di riposo, dobbiamo chiederci quale è la qualità della vita. L’entrata in una struttura residenziale rappresenta una condizione di “abitare coatto” con l’avvio della perdita progressiva dei diritti e l’inizio di una regressione con conseguente perdita
dell’esercizio a usufruire dei propri diritti. Quando una persona entra in una casa di riposo, quando la porta si chiude dietro di lei, da quel momento rischia di cessare per sempre i suoi legami con il mondo, con gli affetti, le relazioni, gli oggetti, i riferimenti, i luoghi della sua quotidianità. E quando “una persona perde tutto, rischia di perdere pure se stessa”. Con l'entrata nella casa di riposo la persona perde il diritto alla privacy, ai propri oggetti, mobili, fotografie, al libero movimento, al contatto con il territorio, si riducono i rapporti con i familiari, si perdono i rapporti amicali e sociali. L'organizzazione del tempo e dello spazio sono dettati dall'organizzazione del lavoro della struttura, gli si organizza la vita nella struttura, gli orari di colazione, pranzo, cena, TV, musica, eventuali attività ricreativa, la persona perde la responsabilità del proprio tempo e delle proprie scelte in una noia mortale, con lo sguardo che si
perde nel vuoto attaccato con la faccia alle finestre nel guardare fuori. Man mano che si perde autonomia, operatori e mezzi meccanici rispondono a un progressivo processo di disabilità. Quando si ha difficoltà nel mangiare, o ci si impiega troppo tempo, si viene imboccati, o alimentati con il sondino, se si beve poco si attacca la flebo, e se una volta te la fai addosso ti viene messo il pannolone.
A Taranto quando riuscimmo a insediare i comitati di partecipazione “Regolamento regionale 20/12/2002 N° 8”, entrando per la prima volta in una Residenza Sanitaria Assistita, il primo impatto mi ha impressionato, due casi che non dimenticherò, una donna nel cortile veniva rincorsa dal medico della struttura, la signora gridava voglio andare via, lasciatemi libera. L'altra, una mia conoscenza, dopo banali scambi di saluti, mi investì, imprecando con parolacce verso la responsabile dell'UVM, che a suo dire lo costringeva contro la sua volontà a stare nella RSA. Non si può continuare a pensare alla cura degli anziani con la logica della domanda e dell’offerta,
grande richiesta dalle famiglie alla ricerca di una “soluzione” e offerta legata ad una logica del profitto, si sono costruite e si continua a costruire grandi strutture collocate fuori dai centri abitati, invece, serve assistenza domiciliare, assistenti familiari qualificati e regolarizzati, centri diurni e infine strutture residenziali nei centri abitati che favoriscono le relazioni sociali. Serve infine una legge che obblighi le strutture a coinvolgere il sindacato e le associazioni di volontariato nell’organizzazione della vita degli anziani.
Vincenzo Caldarulo