Chiesa di S. Giovanni al Muricello -Castellaneta-
testo di Aurelio Miccoli - Voce Dott.Giambattista Sassi
Da vico S.Giovanni, nell’antica contrada Muricello, se ne intuisce solo la facciata perché la chiesa fa parte di una cortina edilizia che la ingloba e ne mortifica la lettura.
Prospetto semplice con un frontone triangolare e sopra uno svettante campanile a vela coronato da una croce lapidea.
L’interno è costituito da un’unica aula rettangolare, voltata a botte e lunettata sulle imposte, con archetti ogivali poggianti su sobri ma eleganti peducci. In fondo all’aula, un tramezzo, al quale si appoggia l’altare, divide lo spazio della navata e definisce, nel retro, un disimpegno di servizio a cui si accede da un doppio ingresso simmetrico, sui lati.
All’interno un unico altare frontale, in muratura, su due gradini, con una fantasiosa quanto povera decorazione in stucco marmorizzato; di fianco, sul lato sinistro, un portale cieco in carparo finemente decorato con modanature e palmette.
Qualche anno fa la chiesa è stata restaurata riconfigurando il piano del pavimento originario. Dal lato destro della chiesa il piano di calpestio risultava ricavato con notevole approssimazione dal livellamento del banco roccioso; la discontinuità e la sensibile differenza di quota consentivano solo un approssimativo raccordo con il pavimento restante, denunciando che la chiesa, in tanti secoli, non aveva mai avuto un pavimento livellato, presentando questa asperità rocciosa, di notevole durezza.
La scarsità dei documenti vanifica ogni tentativo volto a ricostruire la storia antica e le origini della nostra chiesa attualmente dedicata alla Natività di S. Giovanni Battista. Tuttavia è certo che anticamente era nota con il nome di S. Maria La Candelora e prima ancora con il nome di S. Maria La Pesola. Così infatti, viene definita nella S. Visita di Monsignor Sirigo del 26 luglio 1572, quando la commissione si reca a visitare la nostra chiesa ” sita et posita intus dictam civitatem in contrata delo Moricello”. Nello stesso documento si dà spiegazione della strana intitolazione antica, dovuta alla presenza di una “mola rotunda”, cioè una pietra da macina, posta ai piedi dell’altare e usata dal cappellano come sgabello.
La precedente denominazione della chiesa si è persa nel tempo, sostituita da quella di S. Maria La Candelora per via di un beneficio che nel frattempo le era stato assegnato congiuntamente ad un altro beneficio intitolato a S. Giovanni Battista. Fu il Vescovo Onofrio Montesoro che nei primi anni del secolo XVIII, in virtù di un breve apostolico, prendendo atto delle dimissioni del Chierico Vincenzo De Anela, trasferì alle Cure Parrocchiali i benefici suddetti, assegnando il relativo reddito alla chiesa che da allora fu nominata della Purificazione di S. Maria Vergine, o, per il popolo, di S. Maria La Candelora.
Solo dal secolo XIX la nostra chiesa viene correntemente identificata con il titolo di S. Giovanni Battista perché sopravvive unicamente “con li frutti del beneficio sotto lo stesso titolo”. Rendite sicuramente scarse che impediscono una manutenzione sufficientemente corretta, alimentando, al contrario, un degrado talmente spinto da indurre il Vescovo Mons. Lettieri (1822) ad emanare un provvedimento di sospensione “col divieto di mai più celebrarsi”, avendo trovato la chiesa “sfornita di tutto e così piena di umido da sembrare massima indecenza portare il nome di chiesa”. Il problema dell’umidità è una costante che affligge da sempre la nostra chiesa e frequentemente sono stati inutilmente ordinati rimedi di vario tipo. “Cappella infelicissima” la definisce nel 1881 Mons. Bacile, cogliendo il senso di un generale degrado legato non soltanto alle condizioni igieniche e abitative, ma soprattutto ad una sensazione di isolamento sempre più spinto e determinato dal crescente sviluppo del paese in una direzione che ne allontana il baricentro dell’abitato ed emargina sempre più la nostra chiesa, vicina com’è al ciglio della gravina.
La chiesa aveva gran parte delle pareti ricoperta da dipinti murali, e le immagini nuove si sovrapponevano a quelle più antiche che, probabilmente per via dell’umidità, si andavano degradando con rapidità insolita. Era necessario intervenire con continuità ma l’esiguità delle rendite non lo consentiva. E così la generale imbiancatura rappresentava la soluzione più comoda, tuttavia mortificando o cancellando i dipinti murali esistenti o di quel che restava di loro.
Recentemente sono stati messi in luce, sulla parete destra, nella parte più vicina all’altare, alcuni dipinti murali, da tempo incamiciati da strati di scialbatura, in pessimo stato di conservazione, in cui si individuano almeno tre fasi iconografiche: la Madonna con Bambino e Santi adoranti, probabilmente S. Maria della Pesola; una santa martire della quale restano gli occhi ed una mano che regge una palma, ed un probabile santo orientale individuabile dalla parte inferiore del mantello. E’ visibile la traccia di un quarto disegno parzialmente occupato dal tramezzo di altare, così sistemato sicuramente in epoca successiva, goffamente accavallato al portale in carparo da un lato e ad un preesistente dipinto dall’altro.
L’unica raffigurazione di cui è ancora possibile una discreta lettura riguarda la “Madonna con bambino e Santi adoranti”. Si tratta di un dipinto, probabilmente del XVI secolo, delle dimensioni di cm 110 per cm 160 già martoriato dalle spicconature di epoca barocca e dall’aggressione dell’umidità, disegnato con tratti eleganti e minuti, in un insieme di grande misticità. I personaggi si stagliano su un fondo giallo-ocra che determina, per la posizione frontale e la luce che l’avvolge, la solennità di una figura rituale. La tecnica di esecuzione corrisponde in linea generale a criteri costruttivi largamente diffusi e che abitualmente si trovano in dipinti di questa epoca (sec. XV – XVI), con un intonaco di spessore irregolare e ben battuto, dipinto a fresco e con finiture a secco. Nella parte inferiore il dipinto è molto frammentario, in alcune zone la pellicola pittorica è abrasa e mancante, e su tutta la superficie è presente la tipica picchiettatura di preparazione alla sovrapposizione di un altro strato di intonaco che, nel caso della nostra chiesa, era dipinto, come dimostra l’unico frammento ancora rimasto in sito.