Non è un paese per giovani
A chi giova crogiolarsi all’infinito nell’idea che non c’è futuro? È un’idea sbagliata perché non tiene conto di una legge inesorabile: ogni generazione è attesa dal suo domani.
(Luca Zaia).
La globalizzazione, la diffusione delle conoscenze a livello globale grazie ai nuovi media, l’incontro e la convivenza di persone e culture diverse oggi sono diventati una realtà che senza dubbio giova ai quei paesi che sapranno attirare a loro le menti migliori.
Tuttavia credo anche che si debba saper distinguere fino a che punto si tratti di spostamenti che i giovani intraprendono per aderire a un proprio progetto consapevole e se invece sono figli della necessità. Se i giovani espatriano per una scelta di vita, penso sia doveroso rispettarla, perché frutto di un ragionamento maturo oltre che di curiosità e desiderio di scoperta. Se, al contrario, quella decisione fosse il risultato dell’assenza di alternative, si aprono infiniti interrogativi cui noi adulti dovremmo dare una risposta.
Un paese che dichiara di non disporre di forza lavoro e contemporaneamente di avere ragazzi che lamentano di non vedere prospettive al punto di dover abbandonare la propria Patria, è un paese che qualche domanda dovrebbe farsela, prima o poi.
Se parliamo di giovani, non possiamo non considerare quella che è una delle tante frecce al loro arco, un elemento che li rende competitivi oggi. Se per noi “boomer” (nati tra il1946 e il1964) il mondo tecnologico è ancora un’avanguardia, per la Generazione Zero, quella nata dopo il 1996, il metaverso (una rete di mondi virtuali 3D incentrati sulla connessione sociale) non è fantascienza, ma un fatto scontato. I nativi digitali costituiscono un valore inestimabile sul quale è indispensabile investire.
Purtroppo continuiamo a ragionare secondo schemi ormai superati, considerando l’ascolto e l’apertura verso i giovani quasi come fastidio, non comprendendo che questo rifiuto di accettare la realtà ci condanna a restare un paese per vecchi.
Parlare di nuove tecnologie non significa sporcarsi le mani con qualcosa di negativo, al contrario, esse rappresentano una delle più importanti leve per del futuro. Ma per valorizzarle è indispensabile creare un ambiente inclusivo verso i giovani e, se finora non ci siamo riusciti, non penso sia per mancanza di volontà, ma perché le decisioni sono ancora prese da “pensatori analogici”.
Dovremmo porre più attenzione, se vogliamo cogliere le strepitose opportunità che l’infinita sequela di cambiamenti epocali porta con sé sul piano sociale, culturale, sanitario e di approccio ai servizi. Non possiamo esimerci dal considerare che la modernità di un paese si fonda sulla sua capacità di essere a misura di giovane.
Altrimenti L’Italia continua a svuotarsi: esportando laureati e professionisti.
Quella che viene definita “fuga di cervelli”: giovani brillanti, laureati, ricercatori, professionisti qualificati che arricchiscono il paese che li accoglie. Inoltre, la loro formazione ha avuto un costo per l'Italia, che investe circa 130.000 euro pro capite per l'intero percorso di studi fino alla laurea (da aggiungere il costo di master e specializzazioni vari).Un patrimonio che però andrà a vantaggio di altri: l'Inghilterra prima di tutto, ma anche la Francia, Svizzera, La Germania, l'Australia ecc.
È possibile frenare questo fenomeno a patto che la scuola non sia più un’istituzione separata dal resto della società, e in particolare dal mercato del lavoro. Oggi più che mai deve essere integrata come spazio dove allenare costantemente: curiosità, creatività, intraprendenza, rischio e imprenditorialità; oltre che apprendere nuove conoscenze ed esperienze.
Ma anche la classe imprenditoriale deve capire, una volta per tutte, che: “La nuova generazione oggi ha voglia di trovare ambienti di lavoro in cui possa sentirsi valorizzata, serena, in cui sia possibile ricevere formazione per sviluppare il suo potenziale, ha bisogno di un progetto che vada oltre la giornata di lavoro, un obiettivo grande in cui poter contribuire e un gruppo in cui potersi riconoscere”.
Non è più possibile ascoltare frasi come: qua si è fatto sempre così, i giovani pensano solo ai soldi; e ancora, dopo un certo numero di anni si vedrà per un eventuale avanzamento di carriera ecc. E allora ci sta che un giovane professionista faccia la valigia e vada dove sarà rispettato, prima di tutto come persona, e poter dimostrare il suo reale valore.
Vorrei chiudere questo articolo con una nota ottimistica, parlando di quei giovani dei quali, purtroppo, si parla troppo poco, e cioè dei giovani che all’estero hanno preferito intraprendere brillanti attività in Patria. Sembra quasi che si voglia nascondere questa realtà. Io non sono un professionista della comunicazione, ma penso che dare spazio a queste storie di successo costituirebbe una sorta di pubblicità progresso perché offrirebbe spunti e modelli ad altri ragazzi. Mi sono chiesto perché nessuno lo faccia e sono arrivato alla conclusione che questo paese soffre di una specie di complesso da cui non riesce a liberarsi, quello dell’inclinazione alla negatività.
Eppure non mancano esempi di giovani professionisti che si sono affermati come imprenditori raggiungendo, con le loro start up, grandi risultati e ottenendo riscontri positivi da più parti. Invece è triste sentire descrivere quei pochi casi di giovani che rimangono nelle famiglie di origine come se fossero ospiti di un albergo, serviti e riveriti, incapaci di rispondere a un qualsiasi stimolo per coltivare l’ambizione di arrivare a creare un giorno qualcosa di proprio.
Quando parliamo di futuro e di giovani, abbiamo il dovere di chiederci quanto sia attrattiva l’Italia. Come possiamo pensare che uno straniero si senta invogliato ad avviare un’attività in un posto in cui tutto è complicato. C’è il concreto pericolo di essere considerati sia dai nostri giovani che da chiunque vorrebbe investire in Italia come un grande parco giochi, luogo di svago, cultura e divertimento, ma in cui non si potrebbe trasferirsi davvero, un giorno. Perché si possa cambiare questa situazione sarà necessaria una rivoluzione culturale che riguardi non soltanto le istituzioni, la scuola, ma gli stessi cittadini.
Da noi anche gli avventori di un bar che vogliono fare una partita a scopa, finiscono dal notaio a registrare lo statuto.
Giovanni Matera
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